A volte, il pupazzetto controllato da alcuni burattinai particolarmente bravi, sembra rispondere e parlare con voce propria. Naturalmente i pupazzi non parlano, almeno non lo facevano qualche decennio fa, ed è il burattinaio a parlare per loro: si tratta dell’effetto ventriloquio.
A vedere la voce uscire dalla bocca del pupazzo viene da pensare, escludendo ogni magia, che l’abile intrattenitore sia capace di proiettarla in qualche modo lontano da sé. Questo però è impossibile, e avvicinandosi alla gola di questa persona appare subito evidente che la sorgente sonora è il suo consueto apparato fonatorio; in realtà il ventriloquo ha la particolare abilità di parlare senza mostrare il movimento della bocca.
Se però abbiamo l’occasione di assistere di persona allo spettacolo di ventriloquio, sembra impossibile che non sia il pupazzo a parlare, poiché la voce pare proprio uscire dalla sua bocca, come se fosse una persona. In psicologia della percezione è noto l’effetto per cui in molti casi l’informazione visiva domina su quella acustica, perciò se vediamo una bocca muoversi e una sorgente sonora emettere una voce in prossimità di questa, il nostro sistema percettivo attribuisce la voce alla bocca, anche se viene generata poco lontano. É lo stesso effetto per cui al cinema sembra che le voci vengano dalle immagini degli attori e non dalle casse, che sono situate a una certa distanza. Non è però così semplice, perché in casi in cui l’immagine visiva è degradata, sfocata, è il suono a dominare, la posizione dell’immagine sonora a suggerire al soggetto dove si trovi l’oggetto osservato. Ad esempio guardando una pallina muoversi sullo schermo del computer, accompagnata da un chiaro segnale sonoro che si sposta in modo simile ma leggermente sfasato, se la pallina è sufficientemente sfocata è la posizione del suono che indica al soggetto dove sta il bersaglio. Ma se non è sempre la vista a vincere sull’udito, come fa il cervello a capire? Semplicemente, vince il senso più preciso. David Burr, uno degli esperti mondiali di percezione visiva, ha dimostrato sperimentalmente che con un modello matematico piuttosto semplice, basato sul noto metodo della massima verosimiglianza, si può prevedere la percezione dell’osservatore conoscendo quanto sporco è il segnale acustico o visivo. Il nostro cervello, quindi, in condizioni d’incertezza fa il calcolo quanto affidabile è ciò che vede o sente, e sceglie di conseguenza di quale senso fidarsi, implementando correttamente il metodo della massima verosimiglianza, anche senza che abbiamo mai studiato statistica!
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